Cari amici,
in un articolo apparso sul Corriere della Sera di sabato scorso, Amato e D'Alema delineano quella che ritengono una strategia adeguata a governare il fenomeno dell'immigrazione in Italia.
L'articolo puo' apparire una boccata d'ossigeno ovvero di ossido di carbonio, a seconda che se ne confrontino i contenuti con le tesi sostenute (e votate) in questi ultimi tempi dalla maggioranza di governo o, rispettivamente, con quelle che sarebbe lecito aspettarsi da due tra gli esponenti piu' intelligenti del centrosinistra.
Dopo aver rimproverato - giustamente - ai politici di centrodestra di esasperare le paure della gente, cosi' producendo un nemico (l'immigrato) ma non risolvendo alcun problema, gli autori denunciano come insufficiente a governare i flussi la logica repressiva e additano come modello di un approccio complessivo il disegno di legge Amato-Ferrero predisposto dal Governo Prodi durante la scorsa legislatura, ma morto con essa. Fin qui, nulla da obiettare.
Il seguito dell'articolo - tre quinti abbondanti - e' dedicato ad elencare i successi raggiunti, nel campo, da quel governo. E qui, seppellendo nell'oblio tutte le misure intelligenti adottate nella linea dell'approccio complessivo (es.: decreti legislativi 30/2007, 251/2007 e 25/2008 di recepimento di altrettante direttive europee, decreto-flussi bis nel 2006 con 350.000 domande giacenti recepite senza contorcimenti burocratici, direttiva Mininterno 5/8/2006 per la tutela dei diritti dello straniero nelle more del rinnovo del permesso, circolare Minsalute 19/2/2008 per l'assistenza sanitaria dei cittadini comunitari sprovvisti di copertura assicurativa, circolare Mininterno 28/3/2008 per il rinnovo del permesso ai figli ultra-18-enni e la conversione di quello dei minori non accompagnati, etc.), i nostri dedicano tutto lo sforzo di memoria... alle misure repressive. Con cio' lasciando credere al profano che la linea seguita dall'attuale maggioranza non e' radicalmente errata, ma, al piu', bisognosa di qualche correzione.
In sintesi, Amato e D'Alema rivendicano come successi l'alto numero di accordi di riammissione firmati con i principali paesi di provenienza dei flussi migratori, le azioni di contrasto nei confronti dei trafficanti, il Trattato con la Libia con le sue disposizioni per un pattugliamento delle coste libiche mirato a contrastare la partenza di natanti verso l'Italia; perche' il lettore abbia modo di cogliere la differenza tra quesa politica e quella attuale, gli autori chiariscono, pero', che l'accordo con la Libia non prevede che siano rinviati in Libia gli immigrati soccorsi dall'Italia nelle acque internazionali.
L'articolo si conclude con l'invito a rinegoziare e rafforzare gli accordi di riammissione che si rivelino datati e con l'elencazione di alcune misure che di questi accordi devono diventare parte integrante: aiuti per lo sviluppo economico, definizione di quote concordate di ingressi per lavoro, azioni congiunte contro criminalita' e sfruttamento, rimpatrio degli overstayers (quanti, entrati legalmente, prolungano illegalmente la loro permanenza in Italia oltre i termini consentiti).
Viviamo in un paese allo sbando, governato da una maggioranza per molti aspetti indecente. E sarei felice se Berlusconi fosse rimpiazzato da un babbuino di media intelligenza o, in mancanza, da Rutelli. Non essendovi, pero', alcuna speranza, a breve, di assistere a un tale avvicendamento, mi permetto di sognare che il centrosinistra usi il tempo della sconfitta per elaborare posizioni un po' piu' solide in materia di immigrazione. Richiamo a questo scopo, nel seguito, alcuni punti di rilievo.
1) A fronte del ritmo di creazione di nuovi overstayers (verosimilmente quantificabile in cento-duecentomila persone per anno), il flusso di stranieri che, sbarcati sulle coste, non risultano meritevoli di protezione internazionale e che devono, quindi, essere rimpatriati, e' trascurabile (dieci-ventimila unita' per anno). Oggi, l'immigrato illegalmente soggiornante da cui l'elettore della Lega vorrebbe liberare l'Italia e' nella stragrande maggioranza dei casi un overstayer. Preoccuparsi degli sbarchi e' cosa legittima; ma e' priva di razionalita' se non ci si pone prima, da un punto di vista logico, il problema dell'overstaying.
2) Qual e' il motivo per cui si produce l'overstaying? Dal 1986, la legge italiana pretende, per l'ingresso di un lavoratore straniero, una chiamata a distanza (datore di lavoro residente in Italia, lavoratore straniero residente all'estero). Dato che nessuno si azzarderebbe ad assumere al buio uno straniero mai incontrato prima, l'unico modo per far si' che questa chiamata abbia luogo e' rappresentato, in pratica, da un ingresso dello straniero in cerca di lavoro. Dato che la cosa non e' consentita dalla legge, lo straniero maschera tale ricerca da soggiorno per turismo. Instaurato il rapporto di lavoro (in nero), resta sommerso in una condizione di soggiorno illegale (overstaying). Ne emerge solo a seguito di sanatorie o di un uso improprio delle chiamate nell'ambito della quota fissata dal decreto-flussi (chiamate effettuate come se lo straniero fosse ancora all'estero e seguite da rimpatrio e reingresso - questa volta, per lavoro - dello straniero stesso).
3) L'overstaying e' un male? Se guardiamo al risultato finale, nei casi (numerosi) in cui l'avventura si conclude con il rilascio di un permesso di soggiorno (a valle di sanatoria o di chiamata entro-quota), certamente no. Se consideriamo i costi del periodo trascorso nell'illegalita' (sfruttamento, compressione di diritti fondamentali, separazione tra straniero e istituzioni dello Stato, concorrenza sleale nei confronti del disoccupato italiano, etc.), certamente si'.
4) Si puo' fare a meno dell'overstaying? Con le leggi vigenti, no: non avremmo piu' immigrazione per lavoro. I lavori che gli italiani non sono piu' disposti a fare dovremmo allora farli fare ai leghisti. E voi ve lo mettereste in casa un leghista?
Si puo' pero' modificare la legge (e su questo auspico una riflessione, per il futuro, di Amato e D'Alema). Oggi, uno degli slogan piu' in voga, tra i politici desiderosi di scansare l'accusa di xenofobia, suona cosi': "l'immigrazione legale e' benvenuta". Affermazione nobile - certo -, ma, se e' vero quanto affermato nel punto 2, concretamente orba di soggetto. Si tratta, in un'ottica di riforma, di capovolgerla col coraggio dell'intelligenza: "l'immigrazione benvenuta e' legale".
5) Che cosa si intende per immigrazione benvenuta? Questo, in democrazia, puo' dirlo solo la politica (ossia l'arte di governare la societa'). Osservo pero' come tanto il Governo Prodi (DPCM 25/10/2006) quanto il Governo Berlusconi (DPCM 3/12/2008) hanno deciso di accogliere tutte le domande di assunzione presentate in eccesso rispetto alla quota fissata con i decreti di programmazione dei flussi immediatamente precedenti (nessun dubbio essendovi, per altro, che si trattasse di domande relative ad overstayers). Ne deduco che sul fatto che il lavoratore straniero che abbia trovato occupazione nel nostro paese debba essere considerato benvenuto vi sia, tra i nostri politici, un consenso bulgaro.
6) Come si puo' trasformare in legge lo slogan capovolto? In questi anni ho proposto tre vie (non necessariamente alternative):
a) la via di minimo sforzo: consentire, a legislazione invariata, la presentazione delle domande di assunzione da parte dei datori di lavoro in qualunque momento dell'anno (e non solo a partire dal clik day) e utilizzare il dato sulle domande giacenti come elemento primo per la definizione della quota da ammettere col decreto-flussi;
b) la via intermedia: consentire il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro al "turista" straniero che (avendo depositato in ingresso impronte digitali, copia del passaporto e mezzi idonei a coprire il viaggio di ritorno) dimostri di aver trovato occupazione in Italia;
c) la via strutturale: istituire la possibilita' di ingresso per ricerca di lavoro, a condizioni simili a quelle previste per l'ingresso per turismo, ma con possibilita' di dar luogo a soggiorni di durata maggiore (in presenza di mezzi di sostentamento adeguati).
La proposta a) manterrebbe in piedi il fenomeno dell'overstaying, ma ne minimizzerebbe la durata e i costi.
La proposta b) corrisponde probabilmente al quadro che la gente comune immagina sia in vigore in Italia. Mi e' successo molte volte, discutendo con elettori di destra sull'argomento, di arrivare al punto in cui scoprono che la legge italiana non contempla la possibilita' di trasformare un soggiorno per turismo in uno per lavoro; ti chiedono: "ma ne sei sicuro?", con l'espressione di chi intende: "non ti sarai dato all'alcol, vero?"
La proposta c) somiglia molto alla b). E', di quella, piu' adatta ad una sperimentazione: si puo' dimensionare il flusso in ingresso sia con l'imposizione di tetti numerici, sia con la definizione di opportuni requisiti (ad esempio, in relazione alla disponibilita' di mezzi). Paradossalmente, pur essendo la soluzione piu' idonea a mantenere il controllo del fenomeno in mano allo Stato, e' quella piu' difficile da spiegare all'elettorato. Ma compito dei politici seri e' proprio quello di capire e spiegare.
7) Immaginiamo ora di aver reso inutile l'overstaying e di doverci concentrare sul residuo flusso di immigrazione illegale associato agli sbarchi. Qual e' l'atteggiamento giusto nei confronti di chi tenta di arrivare sulle nostre coste?
Non ho dubbi sul fatto che le norme del diritto della navigazione vadano rispettate, in tutte le situazioni in cui sia in pericolo la vita umana, a prescindere da chi sia il navigante. Ho dei dubbi, invece, sul fatto che vi sia una gran differenza tra l'applicazione del Trattato con la Libia alla maniera del centrodestra (riportare i migranti in Libia) e quella alla maniera del centrosinistra (pattugliare le coste libiche perche' i barconi neanche partano). Cerco di spiegare perche'.
8) La normativa italiana accorda protezione dello straniero sotto condizioni molto ampie:
- lo status di rifugiato e' riconosciuto, ai sensi della Convenzione di Ginevra, allo straniero che abbia un timore fondato di essere (personalmente) perseguitato, in patria, per motivi di razza, religione, nazionalita', appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica;
- la protezione sussidiaria e' accordata a chi, non potendo essere riconosciuto come rifugiato, rischi di subire, in patria, un "danno grave" (condanna a morte, tortura o altro trattamento inumano o degradante, pericolo grave derivante alla persona di un civile dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale);
- il diritto di asilo ai sensi dell'articolo 10 della Costituzione e' riconosciuto allo straniero al quale sia impedito nel proprio paese l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche garantite dalla Costituzione italiana;
- la protezione umanitaria e' accordata allo straniero che, non avendo diritto ad una delle forme precedenti, non possa tuttavia essere rimpatriato per "gravi motivi umanitari" (la cui individuazione e' lasciata alla Commissione territoriale per l'asilo e al questore).
9) Si potrebbe concludere, dal punto 8, che l'Italia si disponga ad accogliere molti milioni di stranieri: potenzialmente, tutti coloro che, nel mondo, vedono la loro vita o la loro liberta' messa in pericolo dalla mancanza di pace o, piu' semplicemente, di democrazia.
In realta', benche' alcune delle forme di protezione citate siano in vigore da diversi decenni e le piu' recenti (sia pure con nomi diversi) da quasi sette anni anni, in Italia ottengono protezione poche migliaia di persone per anno. La ragione sta nel fatto che la normativa italiana accorda protezione, nelle condizioni dette, solo allo straniero che sia gia' sul territorio dello Stato.
10) Raggiungere il territorio italiano in modo ordinario e', per lo straniero che si trovi in una delle condizioni che lo renderebbero titolare del diritto alla protezione, estremamente difficile. Prendere un aereo per l'Italia (ammesso che vi siano voli di collegamento) e' quasi impossibile se e' in atto una guerra o una guerra civile. Ma e' altrettanto difficile, anche in mancanza di una situazione di violenza generalizzata, per lo straniero che sia vittima di persecuzione o di grave compressione dei diritti. In questi casi, infatti, e' assai improbabile che lo straniero sia in possesso di un passaporto. E le compagnie aeree non ammettono a bordo una persona priva di passaporto valido. Il motivo e' che una tale persona corre un forte rischio di essere respinto alla frontiera del paese d'arrivo (in particolare, alla frontiera italiana). E la compagnia aerea subisce sanzioni per aver imbarcato uno straniero che debba essere respinto (oltre a doverlo riprendere a bordo per il volo di rimpatrio). E' vero che la legge italiana prevede che non si applichino tali sanzioni quando lo straniero chieda protezione internazionale. Ma nulla assicura, al momento dell'imbarco, che lo straniero effettivamente chiedera' protezione; nel dubbio, la compagnia aerea lascia a terra lo straniero privo di pasaporto valido.
11) In questa situazione, allo straniero in fuga dalla violenza o dalla persecuzione non resta che affidarsi ai trafficanti, per attraversare deserti e mari. I trafficanti ovviemente agiscono per interesse proprio e, quando trattano la vita delle persone come se fosse una semplice zavorra, sono dei criminali. Ma, se non fosse per questi eccessi, dovrebero essere insigniti del Premio Nansen (assegnato ogni anno dall'UNHCR), dato che, senza il loro apporto, in Europa non sapremmo neanche come sia fatto un rifugiato.
12) Effetto complessivo delle norme (generose) che definiscono il diritto alla protezione e di quelle (tirchie) che determinano la possibilita' di accedere alla richiesta di protezione e' che lo Stato italiano, rispetto ai danni che gli individui patiscono per guerre e dittature, e' stato, fino a qualche tempo fa, alla finestra: "se non riesci a fuggire o ad arrivare in prossimita' delle nostre coste, affar tuo; se pero' riesci ad arrivare, esamino con una discreta cura la tua richiesta di protezione e la accolgo con una certa larghezza di vedute". La novita' introdotta con il Trattato italo-libico modifica questo atteggiamento passivo, aggiungendo alle barriere di carattere fisico (deserti e mari) quelle, difficilmente sormontabili, costituite dal pattugliamento (centrosinistra) o dal respingimento in mare (centrodestra).
13) Se su questa linea lo Stato italiano insistera', le norme generose sulla protezione manterranno un carattere puramente simbolico, dato che l'impossibilita' di arrivare a presentare una richiesta di protezione le lascera' senza un bacino di utenza. Almeno fino a quando i potenziali richiedenti non troveranno altri percorsi efficaci per giungere in Italia.
14) Naturalmente, l'Italia potrebbe affermare: "intendo mantenere effettivo il livello di protezione, ma voglio separare il flusso di persone meritevoli di protezione da quanti alla protezione non hanno diritto". In teoria, si puo' ottenere questo risultato consentendo ai potenziali destinatari di protezione di chiederla quando ancora si trovano lontani dal territorio italiano e provvedendo al trasporto in Italia (senza ricorso a trafficanti) dei soli che a quella protezione hanno diritto.
15) Una possibile soluzione e' che la domanda sia presentata gia' nel paese di provenienza. I potenziali richiedenti, in un paese devastato dalla guerra o dalla guerra civile o piegato dalla dittatura sarebbero pero' - questa volta si' - milioni, non essendoci piu' il filtro costituito dalle difficolta' del viaggio. A fronte di un afflusso massiccio di domande di protezione, Costituzione e leggi generose verrebbero immediatamente riformate in modo da restringere drasticamente le condizioni soggettive per il godimento del diritto alla protezione. Una cosa del genere avvenne in Germania (che aveva una costituzione particolarmente aperta in materia di asilo) a seguito della presentazione di 500.000 richieste di protezione in un solo anno durante la guerra nella ex Jugoslavia. In pochissimo tempo, la situazione attuale si ribalterebbe: norme generose sull'accesso alla richiesta, ma estremamente tirchie rispetto alla concessione della protezione.
16) L'altra soluzione e' di carattere intermedio tra quella odierna (richiesta in Italia) e quella del punto 15: lasciare che i potenziali richiedenti affrontino una parte rilevante delle avversita' selettive (per esempio, attraversando il deserto) e siano ammessi a presentare richiesta di protezione - in Libia, per esempio - prima di imbarcarsi per l'ultima tappa.
A me sembra che questa soluzione - cara a molti politici, oggi - a fronte di qualche pregio (se adottata effettivamente, ridurrebbe, per definizione, il numero di morti in mare) presenti vari difetti gravi:
a) continuerebbe ad essere importantissimo il ruolo dei trafficanti, che dovrebbero provvedere all'organizzazione del viaggio fino alla Libia (es.: attraversamento del deserto);
b) un'applicazione certa del diritto - gia' difficile in Italia - sarebbe pressoche' impossibile in Libia: chi darebbe assistenza legale al richiedente? davanti a quale giudice potrebbe presentare ricorso contro una decisione (amministrativa) di diniego della protezione?
c) non ci sarebbe modo, in pratica, di ottenere dalla Libia garanzie in relazione al rispetto dei diritti di coloro ai quali la protezione dovesse essere negata.
Lo Stato italiano potrebbe obiettare che il punto c) non e' di sua competenza, non spettandogli l'onere di tutelare persone che non hanno alcun titolo per essere ammessi sul proprio territorio. Ma, allora, il punto b) diventerebbe un punto essenziale: uno screening superficiale delle richieste di protezione farebbe passare, in modo casuale, da una tutela dei diriti degna della migliore tradizione europea a una violazione degli stessi diritti degna del Colonnello Gheddafi.
17) Cosa fare, in definitiva, rispetto agli sbarchi? Finche' le cifre restano quelle attuali (poche decine di migliaia di persone sbarcate, di cui quasi meta' riconosciute meritevoli di protezione), forse conviene accettarli come fisiologici e lasciare invariato il sistema di accesso alla procedura: richieste presentate in Italia, senza che siano introdotti sbarramenti ulteriori, oltre a quelli oggettivamente esistenti, sulla strada dei profughi.
Quanto a coloro ai quali la protezione deve essere negata, si potrebbero utilizzare forme di incentivo al rimpatrio o, meglio ancora, inserirli in percorsi di soggiorno legale. Un esempio: dal 2006 vengono ammessi in Italia 10.000 stranieri all'anno per partecipare a corsi di formazione professionale o a tirocini di orientamento; non sarebbe impensabile incanalare la porzione che oggi si cerca di respingere in corsi di questo genere, finalizzati ad un successivo inserimento legale nel mercato del lavoro.
Si puo' obiettare: ma cosi' si premia l'illegalita' e si incentivano le partenze dai paesi dell'Africa subsahariana. Risposta: e' vero, ma forse rimandare indietro gente che ha saputo affrontare difficolta' a fronte delle quali ciascuno di noi soccomberebbe in pochissimo tempo e' - oltre che una crudelta' - uno spreco enorme di risorse umane.
Cordiali saluti
sergio briguglio
25 maggio 2009
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