31 agosto 2011

versione aggiornata del manuale; alcune considerazioni sulla L. 129/2011

Cari amici,
alla pagina http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2011/agosto/manuale-normativa-18.html troverete la versione del manuale sulla normativa aggiornata al 6/8/2011 (data di entrata in vigore della legge di conversione, L. 129/2011, del decreto-legge su libera circolazione e rimpatri).

(Alla pagina di agosto 2011 del mio sito e' presente, per completezza, anche un aggiornamento immediatamente precedente tale entrata in vigore: manuale-normativa-17.html).

Data la portata della riforma appena varata, suppongo di aver commesso molti errori e omissioni nell'ultimo aggiornamento. Vi saro' quindi grato se vorrete segnalarmene.


Propongo poi, qui sotto, alcune considerazioni sulla riforma.

1) In sede di conversione in legge il decreto-legge ha perso una norma di rilievo, anche a causa di un goffo intervento di alcuni deputati di opposizione.

La norma in questione era relativa all'inclusione della categoria dei partner con unione stabile nel novero dei familiari in senso lato del cittadino comunitario, che, benche' privi di un vero e proprio diritto di soggiorno, vengono facilitati dallo Stato italiano riguardo alla possibilita' di seguire o raggiungere in Italia il cittadino comunitario stesso.

Piu' precisamente, la disposizione del decreto-legge modificava quella vigente, stabilendo che rientra in tale categoria il partner con relazione stabile ufficialmente attestata.

La modifica era di peso notevole, dal momento che veniva a cadere il riferimento originariamente contenuto nel D. Lgs. 30/2007 ad un'unione attestata dallo Stato membro di appartenenza del cittadino comunitario. Si apriva cosi', stante l'applicabilita' delle disposizioni del D. Lgs. 30/2007 anche ai familiari di cittadino italiano, la possibilita' di ingresso e soggiorno al partner stabile di tale cittadino; il partner in questione, in presenza del riferimento originario allo Stato di appartenenza del cittadino comunitario (l'Italia, nel caso considerato), non avrebbe potuto ottenere alcuna facilitazione ai fini di ingresso e soggiorno, dal momento che lo Stato italiano non e' disposto, attualmente, a rilasciare alcuna attestazione riguardo all'unione stabile di carattere non matrimoniale.

L'improvvida convergenza tra un emendamento dell'Opposizione (che contestava l'uso, nella nuova formulazione, della locuzione relazione ufficialmente attestata al posto di quella pre-esistente e piu' corretta di relazione debitamente attestata) e della miopia della Maggioranza ha fatto si' che la modifica venisse cancellata in sede di conversione del decreto-legge (con 530 voti favorevoli contro uno contrario!). Risultato: al partner di cittadino italiano basterebbe esibire una debita attestazione dell'unione stabile, piuttosto che una attestazione ufficiale; peccato che lo Stato italiano gli neghi l'una e l'altra...

Il meglio, talvolta, e' nemico del bene. E l'unanimita' si ottiene solo su opzioni veramente stupide...


2) La modifica apportata alle disposizioni sulla conversione del permesso, per i minori non accompagnati, al compimento dei diciotto anni prevede - come detto in altri messaggi - che i minori che, dopo il loro arrivo in Italia, siano stati affidati o sottoposti a tutela possono ottenere un permesso per lavoro, studio, etc., a condizione che il Comitato per i minori stranieri abbia espresso parere positivo in merito.

E' importante che nell'applicazione di questa disposizione

a) si attribuisca correttamente al questore l'onere di acquisire il parere al Comitato (e' il rilascio del permesso ad essere condizionato all'acquisizione del parere positivo, non la sua richiesta, la cui ricevibilita' non deve quindi dipendere dal fatto che il Comitato si sia gia' pronunciato)

e che,

b) nelle more della decisione sull'istanza del neo-maggiorenne, questi goda provvisoriamente di tutti i diritti connessi con il possesso del permesso in scadenza, nello spirito della Direttiva del Mininstro dell'interno 5/8/2006 (http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2006/agosto/direttiva-interno-5-8-2006.html). Non vi e' infatti differenza, sotto il profilo giuridico, tra l'istituto del rinnovo del permesso e quello del rilascio del permesso al 18-enne, di cui all'art. 32 D. Lgs. 286/1998. In proposito, segnalo la recente sentenza del TAR Puglia (http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2011/maggio/tar-puglia-licenza-amb.pdf), secondo la quale, ancora piu' drasticamente, il giovane straniero dovrebbe godere dei diritti connessi con la titolarita' del permesso richiesto (salva la possibilita' di revoca dei provvedimenti conseguenti, in caso di esito negativo della richiesta).

Queste due condizioni sono - mi sembra - necessarie perche' l'eventuale ingolfamento dell'amministrazione non venga pagato dagli incolpevoli diciottenni.


3) Come e' noto, e' stato mantenuto nell'ordinamento il reato di ingresso e/o soggiorno illegale (sia pure con l'esclusione della perseguibilita' dello straniero la cui condizione di soggiorno illegale venga rilevata quando lo straniero si presenti, in uscita dal territorio dello Stato, ai controlli di frontiera).

Benche' sia stabilito (art. 13, co. 4 T.U.) che l'espulsione debba essere eseguita con accompagnamento coattivo alla frontiera nei casi previsti dall'art. 16 T.U., e l'espulsione con cui il giudice di pace puo' sostituire la sanzione dell'ammenda sia prevista proprio dall'art. 16, tenderei ad escludere che il Legislatore abbia voluto deliberatamente aggirare le disposizioni della Direttiva 2008/115/CE, svuotando di fatto tutta la costruzione relativa alla concessione del termine per il rimpatrio volontario. Se cosi' fosse, infatti, non avrebbe senso disporre che la questura, acquisita la prova dell'avvenuto rimpatrio volontario dello straniero, avvisi il giudice di pace competente per l'accertamento del reato di soggiorno illegale, perche' questi possa pronunciare sentenza di non luogo a procedere (art. 13, co. 5).

Al di la' delle intenzioni del Legislatore, pero', mi sembra che sia stato combinato un pasticcio. Mi spiego.

Prima della riforma, la possibilita' che il giudice di pace sostituisse la pena dell'ammenda con quella dell'espulsione era puramente teorica. Per procedere alla sostituzione, infatti, il giudice avrebbe dovuto accertarsi della immediata eseguibilita' dell'accompagnamento coattivo dello straniero alla frontiera. In pratica, pero', il fatto stesso che il giudice fosse arrivato a pronunciare la sentenza di condanna era indice dell'esistenza di fattori atti a impedire l'accompagnamento. In mancanza di tali fattori, infatti, il questore avrebbe avuto modo di disporre l'accompagnamento, dandone notizia al giudice, con conseguente sentenza di non luogo a procedere.

Con la L. 129/2011 le cose sono cambiate. Consideriamo il caso dello straniero illegalmente soggiornante che ottenga dal prefetto la concessione di un termine di trenta giorni per lasciare l'Italia volontariamente. Supponiamo che il giudice di pace  arrivi a condannare lo stesso straniero per soggiorno illegale, e che chieda al questore se esistono impedimenti all'accompagnamento immediato alla frontiera. Cosa mai potra' fare il povero questore se non rispondere negativamente? Lo straniero, infatti, avendo superato il test previsto dall'art. 13 co. 4-bis in relazione al rischio di fuga, e' certamente rintracciabile e in possesso di documento di viaggio in corso di validita'. Acquisita la risposta negativa del questore, il giudice di pace potra' sostituire la pena dell'ammenda con quella dell'espulsione coattiva (art. 16 co. 1), appesantita, per di piu', da un divieto di reingresso non inferiore a cinque anni (art. 16 co. 2).

C'e' il rischio di una doppia violazione, in senso restrittivo, della Direttiva: l'annullamento del vantaggio della concessione del termine e l'imposizione di un divieto di reingresso non inferiore al massimo consentito in assenza di pericolosita' (cinque anni, appunto), senza che sia stata tenuta in alcuna considerazione la situazione specifica dello straniero.

E' vero che la sostituzione dell'ammenda con l'espulsione non e' obbligatoria, ma se anche il giudice dovesse decidere, per evitare una severita' incompatibile con la Direttiva, di irrogare la pena dell'ammenda il pasticco non sarebbe risolto. Supponiamo anche che il giudice opti per il minimo della sanzione: ammenda di 5.000 euro. Escluso che lo straniero sia in grado di pagarla, il giudice, in base ad art. 55 D. Lgs. 274/2000, potra' sostituirla con sei mesi di lavoro sostitutivo o quarantacinque giorni di permanenza domiciliare. Entrambe le soluzioni, traducendosi in un rallentamento della procedura di rimpatrio dello straniero, sono in contrasto, per eccessivo lassismo, con la Direttiva, stando almeno a quanto ha affermato la Corte di Giustizia dell'Unione europea nella famosa sentenza C-61/11 (http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2006/agosto/sent-corte-giust-c-61-11.html). Notate come queste osservazioni non siano mie, ma di Lorenzo Miazzi, giudice di Rovigo, che ha rinviato la questione al giudizio della stessa Corte di Giustizia (http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2011/luglio/ord-trib-ro-art10bis-rinv.html).

Non sarebbe stato piu' dignitoso ammettere, da parte del Governo, di aver fatto una corbelleria formidabile con l'introduzione del reato di soggiorno illegale, e approfittare di questa riforma per cancellarne le tracce?


4) Una delle modifiche apportate dalla riforma al regime delle espulsioni e' quella relativa ai presupposti del provvedimento di espulsione per soggiorno illegale. E' stato inserito, all'art. 13, co. 2 lettera b), il caso in cui lo straniero abbia subito il rifiuto del permesso di soggiorno.

Fino ad oggi, in un caso del genere, si procedeva, in base all'art. 12 co. 2 DPR 394/1999, con la concessione allo stranero, da parte del questore, di un termine non superiore a quindici giorni per lasciare volontariamente il territorio dello Stato (senza ulteriori sanzioni). Il mancato rispetto del termine costituiva presupposto per un provvedimento di espulsione. La legge non stabiliva esplicitamente se l'espulsione dovesse essere eseguita con l'accompagnamento coattivo alla frontiera o, piuttosto, con l'intimazione a lasciare l'Italia entro ulteriori quindici giorni, benche' esistessero valide ragioni per ritenere piu' appropriata questa seconda modalita' (da ricercare, in particolare - lo dico per i cultori della materia -, nella formulazione appena andata in soffitta dell'art. 14 co. 5-ter).

Come va interpretata la nuova disposizione? A mio parere, l'unica interpretazione accettabile e' la seguente: resta pienamente in vigore l'art. 12 co. 2 DPR 394/1999; solo in caso di mancato rispetto del termine concesso dal questore (termine non superiore a quindici giorni), si procede ad espulsione dello straniero, con le modalita' che saranno ritenute opportune (concessione di un termine compreso tra sette e trenta giorni per il rimpatrio volontario, o accompagnamento coattivo alla frontiera). Fa eccezione il caso in cui la richiesta di permesso di soggiorno sia stata respinta perche' manifestamente infondata o fraudolenta; in questa ipotesi, l'art. 13 co. 4 modificato impone l'espulsione con accompagnamento immediato e coattivo alla frontiera.

Mi si puo' obiettare: non sarebbe piu' sensato prevedere che anche il rifiuto ordinario del permesso (quando non vi sia, cioe', frode ne' manifesta infondatezza della richiesta) dia luogo immediatamente al provvedimento di espulsione, e che, semplicemente, questo sia eseguito con la concessione da parte del prefetto di un termine da sette a trenta giorni per lasciare l'Italia? In altri termini, quando non si debba procedere all'accompagnamento immediato alla frontiera, non e' irragionevole dar luogo all'eventuale fissazione successiva di due diversi termini per la partenza volontaria, il primo da parte del questore, il secondo da parte del prefetto?

Non avrei difficolta' a dare risposta positiva a queste due domande, se i commi 13 e 14 dell'art. 13 non prevedessero, in corrispondenza ad ogni espulsione, un divieto di reingresso di almeno tre anni, applicabile a tutta l'Area Schengen; si noti: a prescindere dal fatto che allo straniero venga o meno concesso dal prefetto il termine per il rimpatrio volontario. Con un tale divieto, se il provvedimento di espulsione accompagnasse automaticamente il rifiuto del permesso, ci troveremmo davanti a questa situazione paradossale: lo straniero chiede allo Stato italiano il permesso di soggiornare sul suo territorio per il prossimo anno (per esempio, per studio). L'amministrazione italiana esamina la richiesta (non manifestamente infondata, ne' fraudolenta), e decide, anche avvalendosi del potere discrezionale che la legge le accorda, di negare tale permesso. Come conseguenza, allo straniero viene automaticamente vietato di fare ingresso - perfino per turismo - in qualunque altro Stato Schengen.

Non si puo' non richiamare, in proposito, il brocardo seguente (attribuito a un turista, a Beverly Hills, bisognoso di un'indicazione stradale):

"Se la chiedo a Sharon Stone, puo' legittimamente rifiutarmela; ma non puo' vietare a Cindy Crawford di darmela".


Cordiali saluti
sergio briguglio



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