alla pagina
http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2010/settembre/tar-lombardia-sussidio.html
del mio sito troverete un'interessante sentenza del TAR Lombardia. Il
TAR accoglie il ricorso con cui una cittadina straniera, titolare di
un ordinario permesso di soggiorno, impugna il provvedimento con cui
il Comune di Milano le revoca un sussidio sulla base della mancanza
di permesso CE per soggiornanti di lungo periodo.
La sentenza e' interessante, curiosamente, perche' si limita a
richiamare il dettato di art. 41 D. Lgs, 286/1998 (che parifica al
cittadino italiano, ai fini della fruizione della prestazioni di
assistenza sociale, lo straniero titolare di permesso di soggiorno di
durata non inferiore a un anno) e di art. 80, co. 19 L. 388/2000 (che
limita tale beneficio ai titolari di permesso CE per soggiornanti di
lungo periodo quando si tratti di prestazioni che costituiscono
diritto soggettivo in base alla legislazione vigente in materia di
servizi sociali).
Non giocano invece un ruolo significativo ne' i divieti di
discriminazione, ne' le recenti sentenze con cui la Corte
Costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimita'
costituzionale della disposizione di cui all'art. 80, co. 19 L.
388/2000.
Il TAR accoglie il ricorso per il semplice fatto che il sussidio in
questione, elargito dal Comune di Milano in base a una libera scelta
dell'amministrazione comunale, e non in virtu' di un diritto
soggettivo dei destinatari definito dalla legge, non ricade tra le
misure che art. 80, co. 19 L. 388/2000 riserva ai titolari di
permesso CE per soggiornanti di lungo periodo. Resta invece
disciplinato dall'art. 41 D. Lgs. 286/1998, e spetta quindi anche
allo straniero titolare di un qualunque permesso rilasciato con
durata non inferiore a un anno.
La decisione del TAR mi sembra perfettamente fondata. Mette in luce,
pero', in modo chiaro un quadro che rischia di dar luogo a effetti
paradossali. Le prestazioni da erogare a tutela di un diritto
soggettivo hanno tipicamente natura piu' fondamentale di quelle
elargite in base a scelte discrezionali. Tant'e' che la legge stessa
impone le prime, quando siano verificati i requisiti che fanno
sorgere il diritto, mentre lascia libere le amministrazioni locali
riguardo all'erogazione delle seconde.
Ora, se una prestazione puo' essere erogata o meno, a seconda di una
libera scelta di un'amministrazione locale, sembra meno grave che la
stessa prestazione venga riservata ad una platea piu' ristretta (ad
esempio, soli cittadini nazionali e stranieri titolari di permesso CE
per soggiornanti di lungo periodo). Sembra invece piu' grave che una
tale limitazione possa essere prevista per una prestazione di
carattere fondamentale, garantita dalla legge come diritto soggettivo.
Osservo come l'inaccettabilita' delle restrizioni introdotte dalla L.
388/2000 e' stata messa in evidenza dalle sentenze della Corte
Costituzionale n. 306/2008, n. 11/2009 e n. 187/2010. Con le prime
due, la Corte ha censurato il fatto che l'erogazione di una
prestazione (l'indennita' di accompagnamento o la pensione di
inabilita' ) finalizzata a dare sostegno a persone strutturalmente
prive della capacita' di produrre reddito venisse condizionata, tra
le altre cose, proprio alla dimostrazione di tale capacita'. Con la
terza, la Corte censura il fatto che l'accesso a una prestazione
(l'assegno mensile di invalidita') mirata a garantire il sostegno
vitale a una persona possa essere condizionato a requisiti piu'
onerosi quando si tratti di straniero.
E' da aspettarsi - lo osserva anche il TAR Lombardia - che in futuro
la censura cadra', sulla stessa disposizione, anche con riferimento
ad altre prestazioni assistenziali.
Se questo avverra', il paradosso sara' rimosso.
Restera' pero' in piedi una delle due facce del problema:
l'impossibilita', per un'amministrazione locale, di elargire
prestazioni ulteriori, rispetto a quelle garantite come diritto
soggettivo dalla legge, restringendo la platea dei beneficiari ai
soli cittadini nazionali.
In un sistema a risorse infinite questo sarebbe solo un bene.
In un sistema a risorse limitate, indurra' le amministrazioni a
limitare la spesa ricorrendo a criteri restrittivi di altro genere o
abbassando l'importo delle prestazioni (e' da notare come
l'inclusione, nella platea, di tutti gli stranieri titolari di
permesso di durata non inferiore a un anno costituisce un ampliamento
non trascurabile di quella, data la condizione economica spesso
precaria degli stranieri).
Una restrizione della platea non direttamente discriminatoria
potrebbe essere ottenuta introducendo, tra i requisiti, la pregressa
residenza pluriennale nel territorio. Questo criterio, pero', e'
stato piu' volte, di recente, dichiarato illegittimo dai giudici
(perche' indirettamente discriminatorio nei confronti dei non
italiani, e non proporzionato allo scopo - di per se' legittimo - di
controllo della spesa pubblica). Difficilmente, quindi, potra' essere
utilizzato efficacemente.
Non restera' che innalzare la soglia del bisogno richiesto per
l'erogazione delle prestazioni o, appunto, ridurre l'importo delle
prestazioni stesse.
In entrambi i casi, i (numerosi) non italiani poveri verranno
percepiti sempre piu' come presenza ostile e dannosa dagli italiani
poveri.
Piuttosto che gettare a mare l'art. 41 D. Lgs. 286/1998, cui sono
molto affezionato per questioni legate a vecchi ricordi (*), troverei
piu' saggio che la giurisprudenza rivedesse l'orientamento sul
carattere di illegittimita' del requisito di residenza. In
particolare, troverei saggio che questo requisito, almeno con
riferimento a certe prestazioni fosse ritenuto proporzionato (e
quindi legittimo, ancorche' indirettamente discriminatorio)
all'obiettivo (certamente legittimo) di contenimento della spesa.
So pero' che questa mia opinione puo' destare molte critiche. Sono
interessato a riceverle.
Cordiali saluti
sergio briguglio
(*)
http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/1997/settembre/emendamenti-aula.html
Nessun commento:
Posta un commento