17 marzo 2009

divieto di segnalazione: vie d'uscita

Cari amici,
oggi, su iniziativa della Societa' italiana di medicina delle migrazioni, di Medici senza frontiere, dell'ASGI e dell'Osservatorio italiano sulla salute globale, si celebra il "Noi non segnaliamo day". Il programma delle iniziative puo' essere scaricato dal sito della SIMM: http://www.simmweb.it.

Approfitto per tornare sulla questione al centro di queste manifestazioni: la soppressione del divieto di segnalazione del clandestino che ricorra a prestazioni sanitarie.

Nel seguito riassumo i punti rilevanti sull'argomento - almeno, per come io li ho capiti - e, infine, propongo due soluzioni: la prima, nell'ipotesi che la Camera sia disposta a modificare il testo approvato dal Senato; la seconda, nell'ipotesi opposta.


1) Il ddl sicurezza, nel testo approvato dal Senato (A.S. 733) e attualmente all'esame della Camera (A.C. 2180), introduce il reato di soggiorno illegale. Si tratta di un reato contravvenzionale (non di un delitto), perseguibile d'ufficio e sanzionato con un'ammenda, sostituibile con l'espulsione.


2) Lo stesso testo, con altra disposizione, prevede la soppressione dell'art. 35, co. 5 D. Lgs. 286/1998. Il comma da sopprimere recita

"5. L'accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non puo' comportare alcun tipo di segnalazione all'autorita', salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parita' di condizioni con il cittadino italiano."


3) L'obbligo di referto e' disciplinato, in generale, dall'art. 365 c.p.:

"365 Omissione di referto
Chiunque avendo nell'esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d'ufficio, omette o ritarda di riferirne all'Autorita' indicata nell'articolo 361, e' punito con la multa fino a lire un milione.
Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale."

Il secondo periodo di questo articolo, che esonera l'operatore sanitario dall'obbligo di referto nei casi in cui possa discenderne un procedimento penale a carico dell'assistito, ha evidentemente lo scopo di dare priorita' alla tutela della salute rispetto alla tutela di beni quali l'ordine pubblico o la sicurezza pubblica.


4) Si puo' osservare come il combinato disposto di art. 35, co. 5 D. Lgs. 286/1998 e art. 365 c.p. (secondo periodo) crei un'ingiusta disparita' tra il clandestino autore di un delitto perseguibile d'ufficio e la persona regolarmente soggiornante, italiana o straniera, che abbia commesso lo stesso delitto. In relazione a quest'ultima, infatti, il referto puo' essere presentato (pur non essendo obbligatorio); in relazione al primo, invece, no: mancando l'obbligatorieta', il referto e' senz'altro vietato.


5) Nell'ambito della categoria "autori di delitti perseguibili d'ufficio", la soppressione dell'art. 35, co. 5 sarebbe certamente in grado di ristabilire parita' di trattamento tra nazionali e stranieri regolari, da una parte, e stranieri clandestini, dall'altra. E nessuno di noi avrebbe niente da ridire.


6) Il problema e' - com'e' noto - che finirebbero inguaiati anche i clandestini che autori di delitti non sono, ne' mai si sognerebbero di diventarlo. In particolare, paradossalmente, finirebbero inguaiati anche i clandestini vittime di delitti. L'introduzione del reato di soggiorno illegale espone infatti l'immigrato irregolare ad un altissimo rischio di denuncia. E questo non in base al citato art. 365 c.p. (il soggiorno illegale non e' un delitto), ma al meno severo, ma piu' generale, art. 362 c.p. (applicabile anche ai reati contravvenzionali perseguibili d'ufficio):

"362 Omessa denuncia da parte di un incaricato di pubblico servizio
L'incaricato di un pubblico servizio, che omette o ritarda di denunciare all'Autorita' indicata nell'articolo precedente un reato del quale abbia avuto notizia nell'esercizio o a causa del servizio, e' punito con la multa fino a lire duecentomila.
Tale disposizione non si applica se si tratta di un reato punibile a querela della persona offesa ne' si applica ai responsabili delle comunita' terapeutiche socio - riabilitative per fatti commessi da persone tossicodipendenti affidate per l'esecuzione del programma definito da un servizio pubblico."


7) Notate come, trasferito il problema dall'art. 365 c.p. all'art. 362 c.p., le dichiarazioni di non disponibilita' alla denuncia dei medici, ancorche' benemerite e cariche di forza simbolica, rischino di risultare, in caso di approvazione delle disposizioni in esame, assolutamente insufficienti. La denuncia verrebbe infatti, inevitabilmente, dalle amministrazioni delle ASL.

Tali amministrazioni sono tenute, infatti, a fini di rendicontazione a comunicare al Ministero dell'interno le prestazioni erogate ai titolari di codice STP rimaste insolute (art. 43, co. 4 DPR 394/1999). Oggi, vigendo l'art. 35, co. 5 D. Lgs. 286/1998, vige anche art. 43, co. 5 DPR 394/1999, che impone la comunicazione in forma tale da garantire l'anonimato dell'utente. Una volta soppresso l'art. 35, co. 5, pero', l'amministrazione sanitaria che non provveda tempestivamente ad adempiere all'obbligo di denuncia di cui all'art. 362 c.p., finira' con l'autodenunciarsi all'atto della rendicontazione al Ministero dell'interno.

Non riesco ad immaginare un direttore di ASL (nominato, in genere, per meriti politici piu' che per spirito missionario) che metta a repentaglio la propria carriera (e il proprio portafoglio) in nome dell'obiezione di coscienza. Dovessi sbagliarmi, sarei felice di fare ammenda.


8) Come uscirne? Vedo due soluzioni.

La prima (Soluzione A) assume che la maggioranza, grazie anche alle sacrosante e coraggiose prese di posizione di Fini, non sia cosi' convinta di dover varare il ddl nella forma approvata dal Senato. In fondo, essere piu' intelligenti del Sen. Bricolo e' condizione consentita dal nostro ordinamento e, nei fatti, largamente diffusa in tutto il regno animale.

In questa ipotesi, si potrebbe dire a Maroni: vuoi ottenere (giustamente) la parita' di trattamento tra delinquente clandestino e delinquente qualsivoglia? Bene: limitati a modificare l'art. 35, co. 5 nel modo seguente:

"5. L'accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non puo' comportare alcun tipo di segnalazione all'autorita', salvi i casi di referto, a parita' di condizioni con il cittadino italiano."

In questo modo, l'eccezione al divieto di segnalazione si estenderebbe ai casi in cui il referto sia possibile, anche se non obbligatorio. Si otterrebbe cosi' la parita' di trattamento per gli autori di delitti perseguibili d'ufficio, senza danno per la salute degli altri clandestini e di noi tutti.


9) La seconda soluzione (Soluzione B) assume invece che il ddl sicurezza diventi legge, per i profili che ci interessano, nella forma approvata dal Senato.

Come sapete, al clandestino sono garantite le prestazioni sanitarie urgenti o comunque essenziali. Tali prestazioni sono definite dalla circolare del Ministro della Sanita' 24/3/2000 nel modo seguente:

a) "cure urgenti": le cure che non possono essere differite senza pericolo per la vita o danno per la salute della persona;

b) "cure essenziali": le prestazioni sanitarie, diagnostiche e terapeutiche, relative a patologie non pericolose nell'immediato e nel breve termine, ma che nel tempo potrebbero determinare maggiore danno alla salute o rischi per la vita (complicanze, cronicizzazioni o aggravamenti).

Mi sembra evidente che negare cure urgenti o essenziali a un clandestino, o anche solo metterlo nella condizione psicologica di doverle rifiutare, corrisponda ad arrecargli un danno grave.

Viene allora in soccorso l'art. 54 c.p., che si applica a qualunque reato:

"54 Stato di necessita'
Non e' punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessita' di salvare se' od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, ne' altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo."

Le Regioni potrebbero allora diramare direttive con le quali vietano la denuncia di cui all'art. 362 c.p. sulla base del fatto che la semplice possibilita' che tale denuncia sia effettuata costringerebbe il clandestino a sottrarsi alle cure, sortendone un danno grave per la propria salute (e, in diversi casi, per la salute del resto della popolazione: pensate, per esempio, a un caso di meningite non curata). Potrebbero, le Regioni, in altri termini, rassicurare i dipendenti delle ASL che l'art. 54 c.p. li solleva da qualunque obbligo di denuncia, stante il carattere particolarissimo del servizio da loro erogato.

Che questa visione non sia lontana da quella del legislatore e' testimoniato dal fatto che l'obbligo di denuncia non si applica (secondo periodo dell'art. 362 c.p.; vedi sopra) ai responsabili delle comunita' terapeutiche per fatti commessi da persone tossicodipendenti affidate a tali comunita'.


Fermo restando che il mantenimento dell'art. 35, co. 5 D. Lgs. 286/1998 rappresenta la soluzione migliore, credo sia importante prepararsi a prospettare soluzioni che salvino l'accesso dei clandestini alle cure e permettano, allo stesso tempo, alla maggioranza (che deve decidere) di salvare la faccia.

Vi sarei grato se mi faceste avere osservazioni critiche o proposte alternative sull'argomento, in vista di un possibile dialogo con Parlamento e Istituzioni.

Cordiali saluti
sergio briguglio

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